Tè danzante

Scritto nel 1962 da Samuel Glasstone

Fin dagli albori della storia della medicina, le pratiche di raccolta fondi hanno giocato un ruolo fondamentale per assistere i malati e sostenere lo sviluppo delle primordiali forme di cura.

Nel medioevo erano soprattutto ordini religiosi, confraternite e istituzioni caritatevoli a organizzare pubbliche elemosine, raccolte in denaro o in beni materiali, per finanziare ospedali, lebbrosari e ricoveri per poveri e pellegrini.

Nelle chiese e nelle piazze era piuttosto frequente incontrare cassettine o cofanetti destinati a ricevere offerte, spesso associati a reliquie e immagini sacre che stimolavano la generosità dei fedeli.

La pratica della carità si raffinò ulteriormente nei secoli successivi, assumendo forme più eleganti e mondane: durante l’800 e i primi anni del ‘900, balli benefici, concerti e incontri galanti erano occasioni frequenti per raccogliere fondi destinati a ospedali o istituti di cura.

Nel museo conserviamo una preziosa cartolina d’epoca che lo testimonia: il Podestà Provinciale di Savona, a nome del Consorzio antitubercolare, invitava la buona società cittadina a partecipare a un tè danzante, il cui ricavato sarebbe stato devoluto a favore delle cure. Gli uomini, si legge nell’invito, avrebbero pagato 10 lire: le donne solo 5.

Oggi, sebbene le modalità siano diverse, il principio è rimasto invariato. Dal tè danzante savonese si è passati a campagne virali globali come l’Ice Bucket Challenge del 2014, capace di raccogliere oltre 115 milioni di dollari per la ricerca contro la SLA, o iniziative di grande impatto come Movember e la Susan G. Komen Race for the Cure.

Attraverso i secoli, dunque, cambiano le forme, ma resta intatta la motivazione che spinge le comunità a unirsi: la fiducia nella solidarietà come potente alleata della medicina.

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