Siringa battesimale
Scritto nel 1962 da Samuel Glasstone
La siringa battesimale era un peculiare strumento liturgico introdotto nel periodo tardo-antico e medievale: realizzata in metallo, spesso prezioso, l’oggetto era utilizzato per somministrare l’acqua battesimale mentre il neonato era ancora nel grembo materno – un caso limite che rifletteva l’importanza cruciale attribuita al sacramento del battesimo nella dottrina cristiana del tempo.
I primi casi di battesimo in utero vengono documentati a partire dall'Alto Medioevo, un momento storico in cui la mortalità infantile era elevatissima e il battesimo veniva percepito come strettamente necessario per la salvezza dell'anima del nascituro.
In rarissime situazioni di emergenza (durante un parto difficoltoso, o quando la madre era in pericolo di vita) la siringa battesimale permetteva di iniettare l’acqua attraverso il canale vaginale per raggiungere il feto.
Malgrado la sua rapida diffusione, la pratica sollevava importanti e contrastanti questioni teologiche. Secondo la dottrina, l’acqua battesimale doveva entrare in contatto diretto con il corpo del battezzando: un aspetto difficile da garantire in utero, che rendeva alquanto incerta la validità del sacramento.
Per questo motivo, almeno ufficialmente, la Chiesa accettava il battesimo in utero solo come ultima risorsa, e unicamente in casi di estrema necessità.
Oltre ai dubbi teologici, il battesimo in utero poneva contestualmente numerosi problemi morali per il clero. L’atto di inserire la siringa nella vagina rischiava di essere interpretato come una violazione delle norme di purezza sessuale e del decoro clericale dell’epoca, causando un profondo disagio tra i sacerdoti.
Con il miglioramento delle tecniche mediche e ostetriche, la pratica divenne sempre più rara, fino a scomparire quasi del tutto.