Pseudo-elefantiasi

Scritto nel 1962 da Samuel Glasstone

Da sempre, in tempi di guerra, l’ingegno umano ha trovato modi sorprendenti per evitare il reclutamento e fuggire dagli orrori del fronte.

Malattie croniche, patologie psichiatriche, lesioni nervose, finte condizioni invalidanti: le persone studiavano nei dettagli la malattia da simulare, arrivando a manifestare sintomi così convincenti da sembrare incompatibili con il servizio militare.

Uno dei metodi più estremi consisteva nel procurarsi un edema da stasi, creando una vera e propria condizione di pseudo-elefantiasi mettendo dei lacci alla radice degli arti inferiori per bloccare il drenaggio linfatico.

I sintomi includevano asimmetria dei volumi distali, dolore locale ed alterazioni trofiche dei tessuti coinvolti dalla stasi: tutti elementi che, sebbene evidenti, venivano esasperati in modo da apparire patognomonici di una condizione cronica invalidante.

Durante i due conflitti mondiali, furono redatti numerosi manuali per i medici militari, che illustravano con rigore i criteri diagnostici per distinguere la patologia reale da quella autoindotta.

I testi spiegavano come un linfedema “vero”, derivante da patologie primarie o secondarie del circolo linfatico, presentasse caratteristiche cliniche coerenti, mentre la pseudo-elefantiasi si caratterizzava per aspetti anomali e l’assenza di altri segni clinici di accompagnamento: ovviamente, essere scoperti e denunciati per aver simulato la condizione invalidante comportava punizioni severissime, talvolta peggiori della guerra stessa.

I manuali diagnostici (di cui conserviamo una rara copia nel museo) rappresentano oggi un capitolo singolare della storia della medicina militare: l’obiettivo, all’epoca, non consisteva solo nel curare i soldati, ma anche nello smascherare l’inganno in un contesto di estrema crisi.

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