Prototipo sedia a rotelle

Scritto nel 1962 da Samuel Glasstone
Per secoli, la mobilità di chi non poteva camminare dipese interamente dagli altri. Le prime sedie a rotelle erano più simili a troni mobili: grandi, pesanti, manovrabili solo da un accompagnatore. Pensate per il trasporto, non per l’autonomia.
Una delle prime testimonianze note risale al 1595: una sedia costruita per Filippo II di Spagna, afflitto da gotta, dotata di poggiapiedi e ruote, ma nulla che permettesse al sovrano di muoversi da solo.
Nel corso dei secoli, i dispositivi continuarono a essere perlopiù strumenti “passivi”, pensati per agevolare la degenza dell’utente. Solo nel XIX secolo cominciarono a comparire modelli pieghevoli, in legno e vimini, più leggeri, ma ancora dipendenti dall’azione di una persona esterna.
La vera rivoluzione si concretizzò tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, quando alcuni inventori cominciarono a progettare sedie che potessero essere azionate direttamente da chi le usava. Nacquero così le prime carrozzine a propulsione manuale: dai prototipi azionati con leve manuali si arrivò a costruire modelli con due grandi ruote posteriori e cerchi accessibili dalle mani, affiancate da rotelle anteriori più piccole per garantire stabilità e manovrabilità.
Il significato della sedia a rotelle cambiò radicalmente: da simbolo di dipendenza a strumento di autonomia. Negli anni ’30, le sedie iniziarono ad avere telai in metallo leggero, migliorando trasportabilità e controllo; nel dopoguerra comparvero i primi modelli sportivi; e infine, con il boom della tecnologia applicata alla disabilità, arrivarono i modelli elettrici, quelli con controllo oculare e le versioni progettate per sport agonistici, emblema di un cambio radicale del concetto stesso di disabilità.