Maschera per anestesia

Inventato nel 1889 dal dottore Curt Schimmelbusch

La possibilità di lenire il dolore, rendendolo sopportabile al fine della cura, ha senz’altro contribuito allo sviluppo della tecnica operatoria in un’ottica sempre più moderna: la storia dell’anestesia viaggia di pari passo con la storia della chirurgia e, per estensione, con quella della medicina.

In effetti, i primi tentativi di anestetizzare il paziente risalgono addirittura all’antichità.

Assiri e Babilonesi usavano praticare una forte compressione del bulbo carotideo per provocare la perdita dei sensi (adesso sappiamo chiamarsi riflesso vaso vagale); gli Egizi usavano impacchi di acqua gelida per rallentare la circolazione sanguigna e diminuire la sensibilità al dolore; nell’antica Roma veniva invece utilizzata la mandragora, una pianta con proprietà sedative.

A partire dal Medioevo si diffuse una nuova pratica: vicino alle narici del paziente veniva adagiata la “spongia somnifera”, una spugna marina che veniva immersa in un intruglio di oppio e svariate erbe medicinali. Dopo la scoperta dell’America si aggiunsero alla soluzione soporifera le foglie di coca e una particolare liana che conteneva una sostanza in grado di paralizzare i muscoli: il curaro.

Anche l’alcool venne abbondantemente utilizzato per scopi anestetici, soprattutto sui campi di battaglia: solo negli ultimi decenni dell’Ottocento si iniziarono a utilizzare rudimentali “maschere anestetiche” per gli interventi urgenti. Si trattava, in sostanza, di piccole strutture metalliche in cui venivano adagiate garze intrise di etere o di cloroformio, i quali inducevano in pochi minuti una più efficace anestesia che consentiva ai medici di svolgere gli interventi.

La diffusione della nuova “tecnologia” nella pratica clinica, anche al di fuori del campo di battaglia, si scontrò tuttavia con una convinzione radicata in buona parte della comunità medica: per millenni, infatti, i chirurghi avevano operato senza preoccuparsi affatto di sedare i loro pazienti. Anzi, alcuni ritenevano che il dolore fosse parte integrante del processo di guarigione. Un’antica massima affermava addirittura che “il chirurgo ideale dev’essere giovane, coraggioso e risoluto… senza curarsi né spaventarsi delle grida del malato!”

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