Litotomia

Scritto nel 1962 da Samuel Glasstone

Il “mal della pietra”, ovvero la calcolosi reno-ureterale, è una patologia nota da millenni: pensate che nel 1901 l’archeologo Elliot Smith ha scoperto un calcolo urinario nel bacino di una mummia egizia del 4800 a.C.

Già in Mesopotamia, fra il 3200 e il 1200 a.C., venivano descritti alcuni “rimedi” per sciogliere i calcoli urinari.

Nei testi medici di Asutu vengono citati il salnitro nero, uova di ostriche, la resina dei pini e… i genitali degli asini.
Nell’antica Grecia venne sviluppata una primordiale tecnica operatoria per rimuovere i calcoli, la “Litotomia” – letteralmente “taglio della pietra – che prevedeva l’incisione del ventre del paziente. Tuttavia, il tasso di mortalità dell’intervento (fra emorragie e infezioni) era altissimo, tanto che lo stesso Ippocrate ne sconsigliò la pratica.
Bisognerà arrivare al XVI secolo per vedere l’introduzione di nuove tecniche alternative che prevedevano l’estrazione del calcolo attraverso l’uretra. L’operazione era comunque terribile: i pazienti che si sottoponevano all’intervento dovevano sopportare un dolore atroce e l’impiego di alcuni strumenti davvero “invasivi”.
Fra i tanti malcapitati, anche il compositore francese Marin Marais sperimentò nel 1720 la tremenda procedura: l’esperienza lo segnò così nel profondo che cinque anni più tardi decise di comporre “Tableau de l’opération de la taille”, un brano per viola che racconta l’operazione.
I dettagli dell’intervento chirurgico (effettuato senza anestesia) e l’esperienza fisica ed emotiva del paziente sono trasmessi sia a parole – ci sono 14 annotazioni pittoresche – sia nella musica. Il paziente “trema alla vista” dell'”apparato” (il tavolo operatorio); le sue braccia e le sue gambe vengono fissate con “legacci di seta” e viene “introdotto un forcipe”.
Il brano di Marais, membro dell’orchestra di corte di Luigi XIV, è uno straordinario intreccio tra musica e medicina, capace di evocare delle sensazioni che per fortuna (!) oggi non siamo costretti a sperimentare sulla nostra pelle.

Vuoi donare un oggetto al Museo?