Il pilloliere

Scritto nel 1962 da Samuel Glasstone
Per rendere più accettabile l’assunzione dei farmaci, svilupparono una raffinata pratica che consisteva nel rivestire le pillole con uno strato di sostanze dolci o molto saporite, come zucchero, miele o liquirizia, che avevano lo scopo di mascherare il gusto del farmaco sottostante.
"Indorare la pillola" è un'espressione che affonda le sue radici nella storia della farmacologia: nel Medioevo e nel Rinascimento, i farmacisti – all’epoca chiamati anche speziali – si trovavano frequentemente di fronte al problema di far assumere ai pazienti medicinali che, seppur efficaci, avevano un gusto estremamente amaro e ben poco appetibile.
Talvolta le pillole venivano immerse direttamente in soluzioni zuccherine, sciroppi o glasse colorate, ricalcando le primitive tecniche usate per produrre le caramelle: l’espressione “indorare la pillola” estende il senso di rendere tollerabile il gusto del medicinale, ampliando il riferimento semantico all’atto di “addolcire” una cattiva notizia.
L’oro, tornando al discorso farmacologico, veniva effettivamente utilizzato per lo scopo, ma solo in qualche rarissimo caso: non tanto per il gusto (inesistente), quanto per le sue proprietà estetiche e simboliche. Le foglie d’oro, ad esempio, erano impiegate per rivestire alcune pillole o composti medicinali destinati ai nobili o ai ricchi, sia per la loro bellezza sia, come detto, per le credenze nelle proprietà curative del metallo.
Tuttavia, malgrado resista ancora un diffuso luogo comune al riguardo, queste pratiche erano del tutto eccezionali e non rappresentavano affatto la norma.
La pillola, in definitiva, si indorava quasi sempre col miele o con la liquirizia unita al Cantechù, un colorante naturale derivato dall’acacia che aveva un colore dorato… ma non certo con l’oro vero!