Facies
Scritto nel 1962 da Samuel Glasstone
Prima dello sviluppo dei moderni e raffinati strumenti diagnostici, anche la semplice osservazione del volto dei pazienti era considerato un fondamentale “esame” clinico per i medici, i quali – fin dall’antichità – venivano addestrati a leggere proprio nei tratti e nei segni della “facies” indicazioni sullo stato di salute delle persone.
Già Ippocrate, nel V secolo a.C., descriveva come i cambiamenti del volto potessero rivelare la gravità di una malattia: la celebre "facies hippocratica", caratterizzata da occhi infossati, naso affilato e pelle fredda, presagiva una condizione in generale pre-terminale tipica dei moribondi.
Nel Medioevo, l’osservazione della facies si intrecciò alla teoria dei quattro umori: un volto arrossato e caldo, per esempio, era il segno di un eccesso di sangue, legato a febbre o infiammazione; all’opposto, un pallore accentuato indicava un predominio della flemma.
Anche le patologie epatiche trovavano espressione nel volto: l’accumulo di bile gialla, associato a calore e irritabilità, si manifestava in un colorito giallastro, tipico della facies itterica, dove occhi e pelle tradivano il malfunzionamento delle vie biliari.
Durante il Rinascimento, l’osservazione del volto si arricchì di dettagli sempre più precisi. la facies tubercolotica, caratterizzata da guance arrossate e occhi incavati, suggeriva la presenza di tubercolosi, mentre la “facies mitralica”, individuabile attraverso un pronunciato pallore intorno alla bocca, rivelava seri problemi ipossici di possibile origine cardiaca.
Per nostra fortuna, oggi la medicina dispone di strumenti diagnostici estremamente più precisi, ma l’osservazione diretta del corpo e dei suoi segni resta un aspetto fondamentale nella pratica clinica e della semiologia medica.